Speciale CMI Magazine
Se pensiamo al Customer Journey oggi, può talvolta balenarci alla mente l’immagine di una vera e propria odissea: come si preservano fluidità e coerenza al mutare e moltiplicarsi dei touchpoint tra aziende e clienti?
Riteniamo che le parole chiave debbano essere omnicanalità e customer centricity. Le aziende devono da un lato, dare al cliente la possibilità di mettersi in contatto con loro con diversi strumenti di comunicazione, che il cliente sceglierà in base al momento, al contesto di utilizzo e alla sua propensione d’uso; dall’altro devono fare in modo che ogni comunicazione sia in qualche modo legata alle altre, che si costruisca un vero journey, per poter seguire in modo coerente e “avvolgente” il cliente, che deve a sua volta vivere un’experience unica e continua. L’utilizzatore usa canali diversi? Parla con consulenti diversi? Passa dal contatto digitale a quello fisico? Può essere! Ed è spesso così; ma la storia del contatto deve essere unica, completa, a 360°. Per dirla in sintesi “il cliente si deve sentire seguito (non inseguito) e guidato”.
Spesso, nel passaggio da un canale all’altro, la personalizzazione e la conoscenza del cliente vanno perdute. A tal proposito quali sono secondo voi i principali ostacoli che ancora mettono in difficoltà le aziende italiane?
Oggi si parla sempre e ovunque di innovazione, di digitalizzazione, di AI… ma ricordiamoci che molte aziende non hanno ancora finito di mettere in atto il processo di trasformazione che porta all’eliminazione di quelle che venivano chiamate realtà-silos. Vengono ancora talvolta gestiti canali differenti con infrastrutture differenti, sia dal punto di vista tecnologico che, (soprattutto) organizzativo, magari per decisioni “storiche”, questioni economiche o di praticità momentanea. Ma questo, è chiaro, porta a disomogeneità di esperienza, a mancanza di conoscenza del cliente, che quindi vede le sue aspettative disattese e, a volte, si disaffeziona al brand.
Due esempi semplici per dare l’idea di due modi completamente differenti di impostare lo scenario: se mettiamo insieme dei mattoncini, ogni mattoncino avrà conoscenza di sé stesso e del lato dei mattoncini accanto; nulla di più. Se, invece, mettiamo insieme tante bolle di sapone, queste si uniscono, si mescolano e diventano un tutt’uno.
Nei prossimi 5 anni quali cambiamenti fondamentali, connessi al progredire della tecnologia, si registreranno nell’esperienza dei clienti?
La nostra opinione è che molte aziende stiano davvero maturando la consapevolezza dell’importanza del cliente e dei processi ad esso connessi, non più solo in termini teorici ma anche concreti di una roadmap che le porti ad avere il cliente al centro del business, anche supportati dalla tecnologia.
La consapevolezza è data anche da un obbligo imposto dal mercato, che vede sempre più concorrenza, libertà di scelta, facilità di movimento, di ambizione del cliente finale. Tutto questo scenario introduce la possibilità di perdere un cliente non più soddisfatto.
Quali saranno le nuove tecnologie non possiamo saperlo ora, visto che l’evoluzione è ormai talmente rapida che “ora”, è già un tempo passato, ma sicuramente quelli che oggi vediamo in termini prospettici (in un futuro non troppo lontano) come servizi innovativi con AI, canali digitali e social, proattività saranno di uso comune come oggi lo sono la voce e la chat ad esempio.
Con la crescente diffusione di tecnologie intelligenti e modalità self-service di fruizione di prodotti e servizi, si fa sempre più urgente la necessità di ripensare il ruolo dell’uomo. In base alla vostra esperienza quanto è sentito questo tema all’interno delle aziende italiane?
Oggi le aziende nel mercato italiano stanno già valutando l’introduzione dell’intelligenza artificiale seguendo un principio corretto: l’operatore sintetico (che così scritto ha molto del film di fantascienza) come aiuto dell’operatore reale, non in sua sostituzione. Come? Demandando all’intelligenza artificiale tutte le operazioni ripetitive, ricorrenti e senza valore aggiunto, lasciando all’operatore umano le attività di consulenza e vendita, quelle delicate, uniche e a valore aggiunto, sia per l’azienda che per il cliente.
Certo, il principio è corretto; il problema è che a volte, però, non lo sono la modalità o le scelte tecnologiche: non può e non deve essere una corsa all’oro, non vince chi arriva primo (spinto dalle pressioni del marketing), ma chi fa un percorso ponderando tutti i passi: il rischio è l’abbandono dell’AI “perché non funziona” o la mancanza di fiducia da parte del mercato “perché la macchina non capisce”.
Occorre l’uomo reale per far funzionare l’”uomo sintetico”.
