Lo vediamo nella vita di tutti i giorni: raccolte a premi per le quali accumuliamo punti come forsennati ma che poi facciamo scadere perché in fondo non ci sono premi che ci interessano particolarmente, giochini sul cellulare in cui viene assegnato un ranking personale che in realtà non serve a nulla ma vedere che si alza ci inorgoglisce, i concetti base del coding spiegate sotto forma di gioco nelle scuole primarie così i nostri bambini, convinti di giocare, in realtà imparano cicli e concetti di if/then/else …tutto questo è gamification.
Il concetto di gamification è relativamente giovane (primi anni 2000) ma già pervade le nostre vite.
“Traendo vantaggio dall’interattività concessa dai mezzi moderni ed ovviamente dai principi alla base del concetto stesso di divertimento, la Gamification rappresenta uno strumento estremamente efficace in grado di veicolare messaggi di vario tipo, a seconda delle esigenze, e di indurre a comportamenti attivi da parte dell’utenza, permettendo di raggiungere specifici obiettivi, personali o d’impresa. Al centro di questo approccio va sempre collocato l’utente ed il suo coinvolgimento attivo. Obiettivi tipici normalmente conseguiti grazie all’impiego della Gamification sono ad esempio il miglioramento della gestione dei clienti, il consolidamento della fedeltà ad un brand oppure ancora l’improvement del rendimento e delle performance complessive da parte di dipendenti e partner.” Questo il significato e l’ambito d’azione, dal sito gamification.it.
Istituire una gara di passi tra dipendenti che, in squadra e armati di contapassi, fanno team building e danno uno sprint alla propria attività fisica? Questo è gamification
Il vendor che alle riunioni mensili con i suoi partner mostra i “migliori 6” del mese con tanto di freccine rosse e verdi? Questo è gamification
Le raccolte punti dei supermercati? Assolutamente il Flintstones della gamification.
Promettere a tuo figlio la pizza se per “7 nanne lunghe” fa la pipì nel vasino? Un po’ corruzione, un po’ gamification
Partecipare alle survey per ottenere uno sconto in quel negozio? Gamification, così come le faccine fuori dai bagni dei centri commerciali per avere il nostro feedback pigiando su un pulsantone colorato: nessun premio in palio, ma ci fa tornare un po’ bambini…
In America il concetto di gamification viene applicato anche in ambito aziendale per ottimizzare il lavoro dei propri dipendenti e di conseguenza i profitti e la produttività della propria azienda.
Non si rischia di dare il via libera agli sgomitatori sociali, a chi si sentirà in dovere di fare qualche sgambetto per avanzare nella classifica? Certo, ma succede a prescindere dal gioco. Non è mai successo che un commerciale “rubi” il cliente a un collega per raggiungere il proprio budget? Non è mai successo che un dipendente si arruffiani il capo per ottenere lavori migliori, e magari più proficui?
Il problema non è la classifica, ma come vengono valutati e assegnati i punti: se vengono utilizzati metri di giudizio oggettivi, equi e misurabili, mettendo tutti sulla stessa linea di partenza e tutti con pari opportunità, allora la competizione è una sana corsa contro i propri limiti e al massimo delle proprie capacità.
I contact center ovviamente non sono esenti dal concetto di gamification. Sempre in America, le tecnologie di Workforce Management si sono evolute in
Workforce Engagement, associando a forecasting e scheduling, i concetti di quality management.
Gli operatori vengono valutati in base alla puntualità, all’aderenza dello scheduling, alla qualità delle interazioni che possono essere valutate da evaluation team piuttosto che direttamente dai clienti che rispondono alle survey post-interazioni, o ancora tramite sentiment analysis.
Scopo? Motivare gli agenti, monitorarne le prestazioni e promuoverne lo sviluppo, che ci sia o meno una pentola d’oro in fondo all’arcobaleno. (Uscito un agente se ne fa un altro? – parte 2)
Valori di riferimento? Dipende dalle logiche di business, potrebbero essere solo quelli che le soluzioni WEM recuperano dal CTI (di cui, nel caso di Genesys Cloud, sono parte integrante) oppure possono essere utilizzate metriche esterne, quali ad esempio il numero di lead o di vendite concluse, piuttosto che il numero di appuntamenti fissati, e oltre fin dove arriva la fantasia o la necessità.
E in Italia? È un tabù. Esistono gli incentivi alle vendite, i premi aziendali, i riconoscimenti, le schede valutative ma usare metodi giocosi di monitoraggio delle performance, usando quindi dati oggettivi e non manipolabili… no.
In un paese in cui alle scuole primarie non si danno più né voti numerici né i cari vecchi “sufficiente / buono / ottimo”, ma valutazioni asettiche come “in via di prima acquisizione, base, intermedio e avanzato” per evitare che i bambini non si impegnino solo per il voto ma per l’amore dello studio, ottenendo il risultato che ai bambini mancano dei voti comprensibili e che possano paragonare in modo oggettivo, ma studiano sempre con lo scopo di puntare alla A di Avanzato, difficilmente la gamification nella valutazione dei dipendenti, e ancor di più degli agenti di contact center (strutture con l’occhio di bue puntato addosso) può, oggi come oggi, prendere piede.
Peccato
Ma poi perché? Non dovrebbe essere obiettivo comune quello di cercare di promuovere lo sviluppo delle persone e dei servizi che offre l’azienda? Soprattutto se si può fare basandosi su dati reali, oggettivi e non modificabili? E se lo facciamo in modo giocoso che male c’è? Non è simpatico vedere una bella coccarda d’oro sul proprio profilo se si è fatto bene il proprio lavoro? Non è utile a tutti applaudire i più bravi e dare gli strumenti a chi può migliorare, per farlo?
#daivalorealtempo
GG